Centonove del 08 marzo 2013
Quando il gangster diventa eroe
Novità. Il nuovo libro di Giovanni Merenda “Senza nome”
Un giovane dall’avvenire piatto dà una svolta alla sua vita dopo l’incontro con l’ingenere che lo trasforma in un killer self made man. Tra avventure e colpi di scena
Messina. Se i primi quattro libri di Giovanni Merenda (“Il segnale”, “L’esilio”, “Il ritorno del diavolo”, “La scomparsa”) possono ascriversi al genere giallo-poliziesco, questo quinto, titolato “Senza nome” (Nuova Ipsa Editore p. 124 €12), può considerarsi una gangster-story, in cui la figura dell’inossidabile Luigi Martino vi appare solo di sfuggita verso la fine, intuendo con profondo acume il carattere del personaggio pressoché imprendibile da malavitosi e forze dell’ordine, perché in grado di nascondersi sotto i più disparati nomi e sotto i più variegati travestimenti. A primo acchito il personaggio “senza nome”, senza che lo si sveli mai neppure al lettore, ci riporta a Fantomas, ad Arsenio Lupin o meglio ancora a Diabolik: un genio del male che agisce travestendosi nei personaggi che poi riuscirà a mettere nel sacco, indossando maschere riproducenti le facce delle vittime e studiando le loro mosse, movimenti e posture e in grado così di compiere rapine rocambolesche e delitti da cui ne esce sempre impunito, in barba all’ispettore Ginko che resterà sempre con tanto di naso. Ma andiamo per ordine.
All’inizio quello di Merenda sembra un libro di “formazione” che avvince e accalappia il lettore come quando al cinema o in teatro non ci si accorge di stare seduti su una poltrona scomoda. Il racconto inizia con un bambino figlio di padre ignoto e rassegnato a vivere con il fratello della madre. Il ragazzo cresce con poca istruzione ma è sano e forte. Una sera un misterioso signore pare stia avendo la peggio nei confronti di due individui che lo stanno caricando di legnate. Il nostro giovane non ci pensa su due volte a prendere le sue difese. Per riconoscenza quel signore, che si chiama Ivano Danieli, lo prende con sé, gli insegnerà le buone maniere e l’uso delle armi, lo acculturerà, gli offrirà di lavorare con lui e gli dirà che la sua professione è quella del “truffatore”, quasi un Robin Hood dei nostri giorni, con la differenza che i soldi non li dà ai bisognosi, ma li tiene per sé. Insieme costruiranno una perfetta coppia. Sino a quando un irreparabile imprevisto vedrà soccombere Danieli con un colpo di pistola alla nuca. Senza nome da truffatore si tramuterà in un killer infallibile e prezzolato e i primi che cadranno sotto i suoi colpi saranno giusto coloro che hanno ucciso il suo amico e maestro. A 60 anni deciderà di smettere e godersi tutto quel popò di denaro che aveva depositato in varie banche svizzere. Ma non finirà qui… Il personaggio descritto abilmente da Merenda, da cui di sicuro verrebbe fuori un bel film del genere indicato all’inizio, è un killer self made man, riconducibile ad una sorta di eroe all’incontrario, uno che persegue il successo valendosi di mezzi illeciti, socialmente dannosi. Molto vicino a quei gangster cinematografici d’origine non necessariamente americana, in cui disonestà, intrighi, inganni, anche un certo senso dell’onore, sono esorcizzati come elementi di culture diverse, preferibilmente europee, tant’è che alla fine del film li vedremo morire da soli in mezzo alla strada come nel godardiano “A bout de souffle” del 1960 (Fino all’ultimo respiro), crivellati dai colpi della polizia o delle bande avverse. C’è ancora da dire che mentre i film western con giubbe blu, pellirossa, pistoleros e cacciatori di taglie, sono ambientati in grandi spazi aperti e selvaggi, i gangster-movie, con le indimenticabili facce di Lino Ventura o d’un Edward G. Robinson, sono girati in interni o esterni senza orizzonte e le location sono sempre al chiuso, spesso affollate o in strade caotiche della città in cui possono esserci inseguimenti frenetici fra bande avverse su veloci autovetture e la campagna vi appare in contrapposizione simbolica, come rifugio, come è dato da vedere in quel film del 1950 “The asphalt jungle” (Giungla d’asfalto) di John Huston, in cui il protagonista, ferito, va a morire in un campo tra i cavalli.
Ma come nasce questo personaggio “Senza nome”? “Hai un’idea improvvisa e t’innamori anche se il personaggio è molto lontano da te e scrivi per sviluppare quello che succede. Una volta che cominci a scrivere diventi “lui”, anche tu un personaggio senza nome”. Insomma un modo per esaltare la schizofrenia che c’è in ogni scrittore?!
“Credo che un bravo scrittore debba essere schizofrenico e avere personalità multiple”.
Schizofrenia a parte, qual è stata la molla che è scattata in te per scrivere questo libro?
“Mi sono innamorato della storia nella mia mente. Doveva essere incentrata su un personaggio negativo che diventava poi positivo e alla fine, scoprendo un’altra parte di se stesso, doveva mettersi a servizio degli altri per salvare una vita”.
Nella realtà esiste un personaggio come quello che descrivi nel tuo romanzo che nasconde a se stesso e agli altri il proprio nome?
“Certamente non per i fatti che vengono narrati nel romanzo, ma per il modo in cui nella realtà può esistere un personaggio che scopre di se stesso alcune cose che gli fanno cambiare la sua vita”.
A chi ti sei ispirato?
“A nessuno in particolare. Ma dopo aver finito il romanzo mi sono reso conto che la mia storia assomigliava moltissimo a quei film in bianco e nero di Jean-Pierre Melville interpretati da Lino Ventura”.
A quali personaggi ti senti più affezionato?
“Mi piacciono molto i caratteri secondari tipo il personaggio femminile della ragazza albanese Dafina Taci, l’ingegnere Ivano Danieli e il boss Salvatore Avena”.
Cosa c’è nel tuo prossimo futuro?
“Ho appena finito di scrivere un romanzo sul ritorno di Ulisse raccontato in prima persona”.
Hai altri progetti?
“Il quinto e ultimo romanzo sul commissario Luigi Martino (perché penso che un personaggio deve essere abbandonato quando ancora funziona) che diventerà un e-book a settembre se non si fa avanti qualche editore e avrà come titolo La danzatrice di Ragusa”.
Dalla rubrica posterlibri di Centonove.
di Gigi Giacobbe