Rassegna stampa

Una raccolta dei migliori articoli di giornale sulle pubblicazioni della Nuova Ipsa editore di Palermo

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La Repubblica - Palermo del 09 settembre 2007
Il Poeta delle zolfare
Il nuovo saggio di Salvatore Di Marco rivaluta l’opera dell’autore di Cianciana  
 
Fu Di Giovanni a definire le zolfare siciliane <<’nfernu veru>>, ossia vero e proprio inferno. I suoi "Sunetti di la surfàra" sin da subito si rivelarono una pietra miliare nella rappresentazione letteraria che delle zolfare gli scrittori siciliani negli anni hanno dato. Il paesaggio è scarnificato, la lingua ridotta all’osso: un realismo tragico e spigoloso, quello di Di Giovanni crudo sino all’inverosimile, che gli ha consentito di dar voce agli oppressi, di mettere in scena, con rara efficacia plastica, la loro ancestrale disperazione e la loro quotidiana fatica.
E proprio al Di Giovanni cantore delle zolfare è dedicato il volume "Sopra fioriva la ginestra. Alessio Di Giovanni e la Sicilia delle Zolfare" (Nuova Ipsa editore, 230 pagine, 12 euro) dello studioso e poeta Salvatore Di Marco. <<’Nfernu veru - scrive l’autore ad apertura del suo saggio - è espressione che detta insieme condanna e denuncia contro gli sfruttatori, nonché pietosa solidarietà verso gli offesi>>. Col suo sguardo onnivoro, Di Marco, che prende le mosse dal poeta di Cianciana, abbraccia pian piano quasi tutta la Sicilia delle zolfare che nelle carte degli scrittori ha trovato cittadinanza poetica, facendo tutti i nomi possibili di quegli autori che nel tempo dell’argomento si sono occupati e soprattutto dando conto con precisione del dibattito critico. Soprattutto nelle prime del libro, in cui però il critico si lascia prendere un po’ troppo la mano dalla voglia di polemizzare con Vincenzo Consolo, che della letteratura dello zolfo di è più volte occupato, raccogliendo poi le sue pagine in quella che è forse la sua più bella raccolta di saggi: "Di là dal faro" (Mondatori). E proprio a proposito di Alessio Di Giovanni, l’autore del "Sorriso dell’ignoto marinaio" ha messo in evidenza il modo "sentimentale, pietoso, regressivo" con cui è rappresentata la realtà delle zolfare. "La scelta del dialetto - sono parole di Consolo - nei suoi maggiori lavori letterari come aderenza fedele alla realtà trattata rimane alla fine una scelta sentimentale, una chiusura e nel sentimento e nel linguaggio, l’uno e l’altro stagnanti, portatori di storture, di vizi, di rassegnazioni": qui Consolo si riferisce all’adesione del Di Giovanni al Felibrismo, ossia a quel movimento sorto in Provenza e promosso da Federico Mistral (1830-1914), il quale si riproponeva di ridare vigore alla lingua provenzale, e di conseguenza alla sua letteratura e alla sua mitologia di ambientazione soprattutto bucolica e agreste, che l’accentramento linguistico nazionale aveva finito col relegare.
Di Marco non è affatto d’accordo con l’interpretazione data da Consolo, e sulla spinta della solita verve polemica, indossa le vesti dell’avvocato difensore. Si ha quasi l’impressione infatti di assistere, leggendo le pagine di questo libro, a un vero e proprio processo: l’imputato Vincenzo Consolo, manco a dirlo, viene proclamato colpevole. Ma al di là dei toni accesi con cui l’autore affronta la questione, va detto che alla fine convince l’interpretazione data da Di Marco, in base alla quale non si può ben comprendere l’universo letterario e umano del poeta di Cianciana se non si tiene in considerazione l’asse portante della visionarietà religiosa di Di Giovanni, che attraversa dalla prima all’ultima pagina l’intera sua opera, in maniera invasiva e totalizzante. L’autore di "Puvireddu amurusu" racconta la realtà, quella cruda delle zolfare ad esempio, non solo per disgelarla in tutti i suoi aspetti, ma soprattutto per passarla al setaccio di uno sguardo mistico e insieme utopista. A questo proposito, si rivelano illuminanti alcune indicazioni di lettura date da Pisolini, a proposito del "mistero", del "grumo misterioso". Un mistero di fede, probabilmente. Il tutto, nelle pagine di Di Giovanni, avviene senza che per un attimo venga perso di vista il paesaggio siciliano: c’è un senso lucreziano nel poeta di Cianciana, il quale però, come ha notato ancora Pasolini, sa come far accadere i fatti che narra "in fondo agli scorci e alle anfrattuosità del linguaggio". Queste annotazioni critche che l’autore di "Empirismo eretico" le scriveva negli anni Cinquanta, salvando dall’oblio i versi di Di Giovanni e traghettandoli in una ormai arcinota antologia di poesia dialettale. E sempre a Di Giovanni Pisolini avrebbe pensato (nella fattispecie all’opera "Lu fattu di Bbissana", definito "uno fra i pochi piccoli capolavori del gusto realistico") mettendo mano negli anni Sessanta, in sinergia con Alberto Moravia e Attilio Bertolucci, a un’altra antologia, tra le più belle del secondo Novecento, intitolata programmaticamente "Scrittori della realtà" (Garzanti).
Dopo l’input di Pisolini, dunque, favorito tra l’altro dai pareri favorevoli esressi da Benedetto Croce e da Luigi Russo, il quale definì Di Giovanni "il più grande cantore degli umili d’Italia dopo il Manzoni", per il poeta e drammaturgo agrigentino il cammino, nella storia della fortuna critica, sarebbe stato di certo in discesa. Tra l’altro, a tenerlo a battesimo troviamo niente meno che Giovanni Verga, al quale era molto piaciuta la commedia in dialetto "Scungiuru" che ebbe un grande successo soprattutto all’estero dove venne messa in scena dalla compagnia di Domenico Aguglia. A Verga si deve infatti questa esaltante chiosa critica: "L’arte, intesa come il Di Giovanni l’intende, non ha limiti angusti di provincia, e va al grande patrimonio della gran patria comune". Anche se a un certo punto, il nome di Di Giovanni cominciò lentamente a evaporare, a sparire quasi dalla memoria e dai manuali letterari, a rimanere soltanto patrimonio di pochi cultori, tra cui come si diceva Leonardo Sciascia e pochi altri. Ma ultimamente le cose sono cambiate, grazie soprattutto alle ricerche e agli approfondimenti effettuati da Salvatore Di Marco (che ha curato numerose edizioni critiche delle opere di Di Giovanni) a Eugenio Gianonne e allo sforzo profuso da Domenico Ferraro, presidente dell’Istituzione culturale di studi di poesia e di cultura popolare intitolata proprio al poeta di Cianciana, presidente dell’istituzione culturale popolare intitolata proprio al poeta di Cianciana, il cui programma prevede la conservazione, la diffusione e il recupero degli scritti di Di Giovanni. Tra le diverse iniziative editoriali promosse ultimamente c’è la stampa della corrispondenza del poeta agrigentino con Silvio Cucinotta, sacerdote e letterato messinese ("Corrispondenza 1903-1928", a cura di Rosalba Anzalone e Franco Bigiano, Edizione fuori commercio). Si tratta di un carteggio fitto di riferimenti a fatti privati, eventi luttuosi, catastrofi (il terremoto di Messina del 1908), malattie, epidemie e depressioni (sembrano quasi, queste lettere, dei quaderni di lagnanza), e poco prodigo di passaggi illuminanti la concezione poetica, il modus operandi del poeta. Impressiona la strategia messa in atto dal Di Giovanni per diffondere i suoi libri per far subito recensire le sue raccolte poetiche, i suoi romanzi, i drammi composti. Tra le poche cose da segnalare, l’amicizia e la stima che hanno legato il poeta di Cianciana alla scrittrice e mistica Angelina Lanza, l’attenzione della stampa nazione (il "Fanfulla della domenica", il "Resto del Carlino", il "Giornale del mattino") nei confronti dell’opera di Di Giovanni, le numerose traduzioni da quest’ultimo effettuate dal provenzale, il cenno fatto all’invito della Società siciliana per la storia patria di celebrare l’ottantesimo anniversario di Giovanni Verga. In quell’occasione, l’autore di "nella Valplatani" tenne una conferenza dal titolo "L’arte di Giovanni Verga", successivamente pubblicata per i tipi di Remo Sandron. Conferenza che rimase famosa per la domanda rivolta da Alessio Di Giovanni al romanziere catanese se "I Malavoglia" non avessero dovuto essere scritti in dialetto.
Salvatore Ferlita