Rassegna stampa

Una raccolta dei migliori articoli di giornale sulle pubblicazioni della Nuova Ipsa editore di Palermo

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Il Venerdì di Repubblica del 21 aprile 2017
Quei veleni nascosti dove meno te l’aspetti
Indebite interferenze  
 
Dai giochi ai detersivi, si trovano un po’ dappertutto. Sono 800 sostanze chimiche sospettate di causare danni alla salute, a partire dall’infertilità. E la Ue che fa? È indecisa a tutto Questa è una storia di burocrazie, interessi in confitto e sostanziale, forse colpevole, inconcludenza. Protagonisti: l’Europa. E una miriade di sostanze chimiche contenute negli oggetti che usiamo ogni giorno: nelle plastiche che avvolgono alimenti, contengono bevande, costituiscono parti di arnesi per l’arredamento e lo svago, di mezzi di locomozione, di apparecchiature mediche e di giocattoli. Ma contenute anche in insetticidi, detersivi e cosmetici, persino nella carta degli scontrini smarriti nel fondo delle nostre tasche. Insomma, queste sostanze sono praticamente ovunque, compresa la tastiera con cui questo articolo è stato scritto. Sono circa 800 molecole, tra cui i famigerati ftalati della plastica e i fitoestrogeni di origine vegetale (quelli della soia), sospettate di alterare gli equilibri ormonali di uomini e animali. E quindi di essere concausa, nei feti, di disturbi della differenziazione sessuale e di malformazioni dei genitali, nell’adolescenza di pubertà precoci o ritardate, e nell’adulto di alterazioni della fertilità e del metabolismo ma anche di alcuni tumori. Nell’Europa che ha appena compiuto sessant’anni si vorrebbe che, nel dubbio, l’impiego di queste molecole fosse regolamentato. Invece la storia è inconcludente, dicevamo, perché, nonostante anni di discussioni e una scadenza superata da un pezzo (dicembre 2013), leggi precise ancora non ci sono. Nel dicembre 2015 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha accolto un ricorso avanzato da uno stato membro (il Regno di Svezia) contro la stessa Commissione Europea, e persino il Parlamento europeo ha deciso di sostenerlo. A giugno 2016 la Commissione ha emesso i criteri per la definizione di interferente (o disruttore) endocrino su cui dovrà basarsi la legislazione, in riferimento a pesticidi e biocidi (cioè disinfettanti, insettorepellenti, topicidi... tutto ciò che tiene sotto controllo organismi viventi e indesiderati). Ma è una definizione di sicuro parziale, e comunque criticata da tutti i fronti. Così i rappresentanti di questi fronti continuano a bussare alla Commissione perché risolva la questione in un modo o in un altro. Chi sono? Da una parte c’è chi difende gli interessi della grande industria, e talvolta è accusato di farlo con metodi poco limpidi, cercando di minimizzare il pericolo. Dall’altra chi chiede di pensare prima di tutto alla salute, a rischio di essere sospettato di scarsa concretezza o quantomeno di poca attenzione verso il mondo del lavoro. Una da ascrivere a questo secondo gruppo è la giornalista francese Stéphane Horel, che ha meticolosamente scavato nella storia per almeno tre anni. Nel 2015 ha pubblicato in Francia un libro arrivato oggi in Italia e dal titolo eloquente: Intossicazione. Interferenti endocrini, lobbisti ed eurocrati: un groviglio di interessi a discapito della salute (Nuova Ipsa). Qui Horel ricostruisce con acribia alcuni oscuri rapporti intercorsi tra politici e grandi aziende, partendo dall’analisi di migliaia di documenti e puntando il dito sulla fgura mitologica dell’euroburocrate, quasi impossibile da avvicinare per i giornalisti ma molto disponibile verso i lobbisti dell’industria: «Lo si immagina grigio come uno schedario, la pelle conciata dal neon. Ha raramente un volto». Poi a un certo punto, su questo fronte, arrivano gli scienziati e i toni cambiano. Nell’aprile del 2014 la Endocrine Society, società scientifica che vanta un secolo di età e diciassettemila soci in 120 Paesi del mondo, ha creato una task force per fare pressione sulla Commissione europea affinché la questione venisse risolta. In questa task force c’è Giancarlo Panzica, neuroendocrinologo, direttore del Dipartimento di Neuroscienze Rita Levi Montalcini dell’Università di Torino e membro del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (Nico). «In prima battuta sia chiara una cosa» si presenta «io faccio il ricercatore, non il politico. Per me la defnizione di interferente endocrino è quella dell’Organizzazione mondiale della sanità». Definizione che parla di sostanza capace di disturbare, da sola o in associazione ad altre, il sistema endocrino, con danni all’organismo ed eventualmente anche alla sua prole. Sono sostanze sia di origine naturale (piante, funghi, muffe) sia di origine sintetica. «Che siano nocive è evidente negli animali di laboratorio: possono dare alterazioni della fisiologia dell’apparato genitale e del metabolismo, ma anche del comportamento sessuale e sociale» spiega Panzica. E se è vero che i topolini di laboratorio non vivono nel mondo stracolmo di molecole da mangiare e da respirare in cui viviamo noi «è verosimile che nel nostro caso queste molecole siano concausa delle stesse modificazioni subite dai topi». Comunque, la task force ha fatto una stima: l’esposizione a queste sostanze potrebbe costarci circa 157 miliardi di euro all’anno tra costi diretti per le terapie e indiretti per i giorni di lavoro perso, cioè l’1,23 per cento del Pil europeo. Perciò gli scienziati della Endocrine Society continuano ad andare a Bruxelles a parlare con gli europarlamentari. Intanto, nei loro laboratori, proseguono con le ricerche. Difficili, perché devono riprodurre la complessità delle interazioni tra migliaia di molecole con le quali il nostro organismo (a sua volta altrettanto complesso) viene a contatto. Allora ecco la proposta degli scienziati, e la critica al (poco) lavoro fatto in Europa fin qui. «Dobbiamo evitare un regolamento che parli di soglie sotto le quali una sostanza è ammessa, come vorrebbe l’industria» spiega Panzica «e critichiamo anche l’attuale definizione di interferente endocrino, per cui una sostanza o lo è o non lo è». Senza zone grigie. La proposta degli scienziati è quindi «di fare come per i cancerogeni, cioè dire se una sostanza è un interferente endocrino, e quindi va vietata senza sconti. O se non lo sappiamo ancora». E se non lo sappiamo ancora, si fnanzi la ricerca. «Non ci si può limitare a dire sì o no perché per avere prove inoppugnabili di tossicità ci vogliono tempi molto lunghi, e rischiamo di ammettere sostanze che tra qualche anno si riveleranno pericolose». Probabilmente è quello che sta succedendo laddove il bisfenolo A (il più noto degli interferenti endocrini) è stato vietato. Siccome si tratta di una molecola fondamentale per la produzione di plastiche morbide, usate anche per biberon e ciucciotti, l’industria ha dovuto trovare un’alternativa. «Così talvolta usa il bisfenolo S, che potrebbe rivelarsi anche peggiore». Bene, queste le posizioni, questa la proposta degli scienziati che chiedono attenzione per salute e ambiente. E l’Europa che cosa fa? Si spacca. Ci sono Paesi più vicini agli interessi dell’industria (Germania in testa, sede delle grandi aziende chimiche e farmaceutiche del continente), Paesi più ecologisti (quelli del Nord e la Francia), e Paesi boh (l’Italia). Ma un compromesso va trovato, e la Commissione promette impegno. «È vero, c’è un grosso ritardo ma adesso la Commissione Juncker (insediata nel novembre del 2014 , ndr) sta cercando di rimediare il più rapidamente possibile» assicura Enrico Brivio, portavoce italiano della Commissione europea. Ma perché finora si sono emesse soltanto definizioni relative a pesticidi e biocidi? «Semplicemente perché per ora il mandato era di lavorare su questi, ma niente vieta che i criteri vengano estesi». E comunque «l’Europa è la prima area al mondo in cui si sta cercando di definire in una legge quali siano gli interferenti endocrini» chiosa Brivio. Su questo è d’accordo anche Panzica: «Stiamo discutendo di cose alle quali altrove non si accenna neppure». Detto questo, tutti sono d’accordo sul fatto che sia l’ora che la storia inconcludente si concluda. Anche perché la vicenda, oltre alle ricadute sulla nostra salute (e sulla nostra economia), ha anche un’ovvia ricaduta politica, cioè alimenta la sfiducia verso l’Europa e il pessimismo sul suo futuro. Silvia Bencivelli