Giornale di Sicilia del 15 novembre 2014
PINO LETO: «SUL RING HO MESSO KO ANCHE L’ODIO»
L’ex pugile palermitano racconta in un libro la sua vita: l’infanzia terribile per strada, una palestra come riscatto. Fino al titolo europeo dei superwelters
«Palermo è un ring, la regione è un ring, bisogna imparare a lottare». Pino Leto, 57 anni, sorriso da pirata e orecchino nero al lobo dell’orecchio, è in piena forma. Come quando, primo palermitano nella storia, conquistò il titolo europeo dei pesi superwelter (1989). Ed ecco Pino a Villa Niscemi a presentare la sua autobiografia, che ha aggiornato e va in libreria insieme a uno splendido dvd del regista Gaetano Di Lorenzo, intitolato “Miricano, dalla strada al ring”, un documentario sulla vita del pugile. La storia di uno sportivo che ha usato la sua notorietà per dare un esempio di riscatto al suo quartiere, la Vucciria.
«Una storia incredibile per quei giovani che non sono cresciuti in quartieri disadattati» scrive Nino Benvenuti nella prefazione del libro “Dalla strada al ring”, 127 pagine, Nuova Ipsa Editore, 15 euro.
Dopo la presentazione, con interventi di Giuseppe Bagnati, Lino Buscemi, Roberto Gueli, Vincenzo Prestigiacomo, Nino Randazzo, Pino è stato premiato con una Targa dell’Unione Stampa Sportiva Siciliana.
«Mi alleno ancora – racconta Pino Leto – per far vedere che la volontà può battere il tempo che passa. Sto con i ragazzi in mezzo alla strada, per protestare contro l’abbandono delle istituzioni di tanti rioni popolari di Palermo, dove ancora si pensa come faceva mio nonno ottant’anni fa e si sente parlare di fuitina e di zù Totò che risolve i problemi. C’è ancora tanto da fare. Vado ogni tanto in una palestra di via San Basilio, dell’ex scuola Piazzi, dove vi sono decine di ragazzi per cui la boxe può rappresentare il riscatto».
Ma la boxe di oggi è cambiata…
«Si fanno troppe competizioni a squadre, il pugilato è uno sport individuale. E poi ci sono pochi soldi. Orlando per un mondialino ha preso una borsa di 8 mila euro da cui togliere le spese. Eppure la boxe può dare a questi ragazzi quella visibilità che cercano invece di un destino da malacarne. Può servire a scaricare la rabbia. La mia vittoria nel campionato europeo ha detto agli ultimi, ai ragazzi del mio quartiere, che il riscatto sociale è possibile, e al mondo che nella nostra città non c’è solo malaffare».
Ed ecco la storia del “Miricano” (soprannome affibbiato dalla mamma perché era un bel pupo, uno che «si sentiva diverso perché parlava sgrammaticato»). Un’infanzia terribile nel rione San Pietro. «Mio padre mi picchiava con il tubo, dormivo in mezzo ai banconi. Una volta ho visto cadere un ragazzo assieme a un cane e mi sono preoccupato per la bestia, perché era l’unico essere che si avvicinava a me. Odiavo la mia vita, mio padre, gli esseri umani. I miei compagni di scuola mi prendevano in giro per i miei vestiti laceri. Mi chiedevo perché mi avevano messo al mondo. Poi in palestra ho tirato i primi pugni e mi hanno detto: ma lo sai che sei bravo. Bravo non me l’aveva mai detto nessuno».
Il resto è storia: campione di pugilato, il lavoro di metronotte, il bello e il brutto della vita (una tragica rapina), lo studio ripreso e il diploma conquistato a 36 anni. Per gridare al mondo «è stata dura ma si può fare».
Guido Fiorito